“Breve trattato sulle coincidenze” di Domenico Dara
“Viviamo convinti di controllare il mondo e la vita, ma basta uno scarto perché si mostri l’illusione. E’ come cavalcare: crediamo di governare l’animale con le redini, ma basta che un topo attraversi la strada perché il cavallo perda il controllo e ci faccia cadere a terra.
Cosa sono le nostre certezze se un qualunque animaletto può annientarle?
Se viviamo alla meno peggio non è merito della nostra perizia cavalleresca: lo dobbiamo al coraggio del cavallo e alla magnanimità del topo.”
Domenico Dara, calabrese di Girifalco (CZ), esordisce nel 2014 con “Breve Trattato sulle coincidenze”, pubblicato da Nutrimenti, scrivendo un romanzo dal sapore unico e particolare. Giovane, classe 1971, colto, si è laureato a Pisa in Lettere con una tesi sulla poesia di Cesare Pavese.
Le situazioni della vita lo portano a percorrere strade professionali diverse, forse non amate, forse non ambite, ma seguite per necessità; nonostante tutto, insegue e coltiva il sogno che ha sempre avuto nel cuore e nella testa già durante il corso dei suoi studi, diventare uno scrittore. E ci riesce, benissimo. Il romanzo d’esordio lo catapulta immediatamente tra i finalisti del Premio Calvino 2013.
“Breve trattato sulle coincidenze” è semplicemente un capolavoro. Un intreccio di situazioni, personaggi, dinamiche, accadimenti, spunti culturali e filosofici, riflessioni profonde che ruotano tutte intorno all’unico scenario che ci accomuna: la vita. Questo palco su cui ogni uomo recita la propria parte portando con sè il bagaglio della sua condizione sociale e personale, i propri drammi, le proprie gioie, le proprie sventure, la propria miseria, i sogni ed i desideri che invadono l’animo di ognuno. Non sempre si riesce ad emergere, molto spesso si annaspa, a fatica si riesce a condurre un’esistenza “normale”, si soffre e si gioisce senza che ciò, il più delle volte, dipenda dalla volontà dell’essere umano, ma solo perché è la vita a decidere per noi, il Destino “nocchiere esperto”o il Caso.
Il romanzo è ambientato a Girifalco, piccolo paese del catanzarese, ai piedi del Monte Covello in un contesto storico straordinario: è il 1969 e l’Uomo sta per mettere piede sulla luna.
Protagonista è un Uomo, anonimo, solitario, definito dall’autore “senza ambizione”, che di mestiere fa il postino del paese. Ha una dote particolare il postino: riesce ad imitare perfettamente la grafia di chiunque; da piccolo, a scuola, scriveva i temi per i compagni di classe, li scriveva con la loro grafia, imitandola alla perfezione ed evitando a qualcuno “Viparedda”, la terribile bacchetta del prof. Proganò.
“Il postino col tempo cominciò a chiedersi che uno con quelle capacità non aveva molte strade da intraprendere se non quella del falsario, ma lui il falsario non voleva farlo, e allora un altro motivo doveva esserci se la natura gli aveva fatto quel dono..”
Il postino di Girifalco inizia così a coltivare un “vizio”: apre, legge, ricopia imitando perfettamente la scrittura del mittente e poi cataloga in un proprio archivio personale ordinato per temi, ogni lettera prima di recapitarla al legittimo destinatario. E così si immerge ed apprende situazioni non sue, conosce le trame che animano la vita dei suoi paesani, le dinamiche, i tradimenti e gli amori mancati, le delusioni, gli inganni orditi da una politica corrotta che vuole distruggere la naturalezza e la bellezza di un posto da sempre vanto ed orgoglio della comunità di Girifalco.
La sua intromissione e “violazione” nella vita altrui non è però un mero capriccio dovuto alla smania di pettegolezzo fine a se stessa, è un modo per accelerare il corso degli eventi positivi e ad evitare, ove possibile, il verificarsi di un dispiacere, di un dramma, di un dolore così forte come quello di una madre che perde il figlio lontano da casa per lavoro. Ma la lettera che contiene la comunicazione della morte del ragazzo, non giunge mai nelle mani della povera madre: dopo aver aperto l’ennesima busta, infatti, il postino non accetta che un dolore ed uno sconforto così profondo ed inumano possano attanagliare l’esistenza di una donna già segnata dalla miseria. Ne recapita un’altra, totalmente diversa, creata dalle sue mani e dalla sua penna ma come se a scriverla fosse realmente quel figlio ormai morto, ma è una lettera che ha tutto un altro sapore e lascia viva la speranza, nel cuore di questa madre, di rivedere ancora una volta il suo amato figlio.
Ed ecco allora un uomo che talora sfida il Destino impedendogli di segnare la vita di qualcuno tragicamente, riuscendo quindi a piegarlo al suo volere, ma anche, altre volte, come un alfiere saggio e devoto, gli da una mano, assicurandosi che lo stesso si compia, come è giusto che sia.
E così, il “postino giustiziere”, si prodiga nell’ombra, con discrezione ed umanità, per dare una mano ad una coppia di giovani innamorati che mai avrebbero avuto il coraggio di incontrarsi e dichiararsi il loro amore. Bellissimo il quinto capitolo (“Della vita parallela che scorre sui balconi, del caffè all’anice coi savoiardi e del postino divenuto padre di un figlio non suo”). Era la vigilia della festa di S. Rocco, patrono di Girifalco, del 1966. Il postino si trova seduto sulle scale della Chiesa Matrice mentre è in corso l’esibizione di un gruppo folcroristico quando, nella marea di gente che viveva, come tutt’ora oggi vive quella festa, scorge due persone che “s’adocchiavano a vicenda”, come “due innamorati incapaci di confidarsi il sentimento”: Geno e Iride. L’uno guarda l’altra e quando gli occhi si incrociano, entrambi li abbassano, come scoperti a rubare. Ed il postino, che nutre un antico debito di riconoscenza nei confronti del padre di Geno, decide di agire: quei ragazzi devono essere aiutati. Torna a casa e tesse immediatamente una tela fatta di lettere d’amore, firmate ora Geno ora Iride, depositate qua e là per aiutare i due ragazzi a trovarsi, conoscersi e quindi dichiararsi vicendevolmente il loro amore. Ci riesce, i due si incontrano, si piacciono, si innamorano, si sposano. E quando il postino, dopo qualche tempo, durante il suo giro quotidiano per recapitare la posta, passa davanti alla casa della coppia, vede affisso fuori dalla porta un fiocco azzurro: “Cesarino era nato ed egli (il postino) sentiva quel nascituro un po’ figlio suo”.
Da sempre affascinato dalla fiaba di Pollicino e dai sassolini lasciati sul sentiero per trovare la via del ritorno, anche al postino sarebbe piaciuto trovare sulla strada della vita quei sassolini che avrebbero rappresentato indizi, tracce, suggerimenti e segni che indicassero la via da percorrere. E dopo aver letto un articolo di giornale in cui straordinariamente un poliziotto aveva, al maschile, lo stesso nome della vittima del violentatore da lui stesso arrestato, “il postino stabilì che i sassolini che tracciano il giusto cammino della vita si chiamano “coincidenze”. La coincidenza è il sassolino lasciato sul sentiero per indicare la via del ritorno, l’incontrovertibile prova che noi ci troviamo nel punto in cui avremmo dovuto essere. E tale fu l’entusiasmo per la scoperta che cominciò a trascrivere tutte le coincidenze che gli capitavano, proprio tutte […]” Ma proprio quella capacità e dote di imitare la scrittura altrui che lo porterà successivamente ad ingerirsi a fin di bene nella vita dei suoi paesani, per una strana ironia e forse coincidenza del Destino, era divenuta precedentemente la causa della sua sventura, ciò che lo aveva relegato alla condizione di uomo solitario, destinato ad una vita in solitudine “che egli accettò, come tutto quello che gli accadeva nella vita, chinando il capo e senza opporre resistenza”.
Non si può non amare questo protagonista. Commuove, piace, ispira senso di giustizia, correttezza, bontà d’animo, vendetta contro le storture della vita. Un uomo anonimo, di cui ignoriamo il nome, se non per scoprirlo negli ultimi passi del libro, che può essere chiunque e non è nessuno, che vive non per sé ma per gli altri, che immola la sua vita da uomo solitario per aiutare chi deve essere aiutato, si aggira in un paese quasi come un fantasma, consegna la posta ma tesse le trame necessarie per portare ordine e “giustizia” nella vita dei suoi compaesani, aiuta gli altri ma non aiuta se stesso. Un libro magnifico, unico e commovente, dove anche la morte di un bambino, umanamente inspiegabile, trova risposta, dove ogni domanda che l’essere umano si pone quotidianamente sulla vita e sul suo percorso, ha un perché, una spiegazione rasserenante, mai drammatica, mai catastrofica, dove le miserie della vita si accettano forse con rassegnazione ma mai senza accanimenti emotivi che possano distoglierle l’uomo dal viverla comunque questa vita, dall’esserne a volte protagonista a volte succube.
Un saggio più che un romanzo. I titoli di ogni capitolo lo dimostrano, ma ancor di più, lo dimostra lo spessore culturale ed umano di questo libro, la semplicità di un protagonista che a tratti non sembra neanche appartenere a questo mondo. Ed il lettore si perde in lui, nei suoi pensieri e nelle sue riflessioni, lo ama, approva inconsciamente ogni sua singola azione che non è mai abietta ma altruista e non può che sorridere delle sue “vendette”.
Bravo Domenico.
“Il postino pensò che forse dietro ogni mal di testa c’è una mossa compiuta, che c’è chi nasce torre e c’è chi nasce alfiere, c’è chi nasce re e chi nasce cavallo, ma la maggior parte degli uomini nascono pedoni, votati cioè a sacrificare se stessi per una strategia della quale non sapranno mai l’esito finale”.
Giusy Procopio
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